Monica Bisi

Monica BISI, « Marino filosofo ? Intorno a una recente monografia mariniana », in TESTO (Studi di teoria e storia della letteratura e della critica), Rivista semestrale diretta da Pierantonio Frare, Istituti editoriali e poligrafici internazionali, Pisa-Roma, n° 48, luglio-dicembre 2004, p. 109-116 

 

           Marino opportunista e cortigiano, prestigiatore della parola scritta e unicamente proteso a meravigliare i suoi lettori, o anche filosofo impegnato a scardinare la monoliticità del sistema di valori costituito e a proporne uno nuovo attraverso la scrittura?
           La lettura che Marie-France Tristan ne offre in La Scène de l’écriture si presenta come un’analisi incrociata delle Dicerie Sacre e dell’Adone condotta secondo i metodi e le categorie della semiotica contemporanea e finalizzata a mettere in luce quello che, dal suo punto di vista, è l’autentico significato di molte pagine poco valorizzate del Cavaliere, fino ad annoverarlo tra i filosofi ribelli del secolo barocco insieme a Bruno e a Campanella.
           Il percorso a cui questo volume invita è lungo, dettagliato, complesso, ma chiaro e ben strutturato in ogni sua parte e nell’insieme, in una sorta di movimento a spirale che torna ad analizzare le medesime strutture in ambiti e a livelli differenti. Dopo una serie di preliminari metodologici indispensabili per orientare il lettore, il lavoro si suddivide in quattro parti, la prima delle quali, dedicata alla teogonia-cosmogonia del Marino, serve da chiave di lettura dell’intera opera. Le tre parti successive sono dedicate alla questione dell’essere, al linguaggio e all’etica, dimensioni che rinviano espressamente sia alla divisione aristotelica delle scienze, sia allo schema fondamentale che la Tristan rintraccia in quella che lei chiama « axiomatique marinienne » e che ritorna in filigrana all’interno di ogni sezione : il rapporto tra cosmos, logos e anthropos, i tre ambiti attraverso cui si può - e si deve - leggere, secondo l’autrice, l’opera del Marino.
           A partire dalla concezione gerarchica e neoplotiniana del mondo che ravvisa nella Pittura, la Tristan mette in evidenza la centralità del « mondo archetipo », origine e modello di tutti gli altri mondi, fino ad esplicitare come esso possieda un’esistenza reale, a differenza degli altri che ne sono un’emanazione e si qualificano come riflessi, anzi, rifrazioni :

Les réalités sensibles, pas plus que les réalités intelligibles, ne sont pour Marino de pures fictions […], mais plutôt quelque chose d’intermédiaire entre fiction et réalité. Ou plutôt, si ce sont des fictions, c’est au sens où il n’y aurait rien d’autre, nulle part, que de la fiction, rien qu’un regard / intellect projetant indéfiniment des couches d’images et de concepts, y compris dans les arcanes du Monde archétype. 1

           Gli schemi del mondo archetipo - strutturato sui  cardini della coincidentia oppositorum e della docta ignorantia - si ritrovano nei campi della cosmologia, dell’etica e del linguaggio, dal momento che « pour Marino, quelle que soit l’orientation choisie au gré des circonstances, ce sont les réalités archétypales qui constituent l’unique et inaltérable modèle de l’homme, de l’œuvre et du monde, à travers lesquels leur image est indéfiniment démultipliée, déformée et transformée, ou à l’inverse indéfiniment recomposée » (p. 455-456).
           In ognuna delle sezioni dell’opera, la teoria del genotexte / phenotexte di Kristeva, i concetti di signifiance e di dissémination di Derrida, l’idea di intertexte di Barthes messi in relazione al concettismo italiano, sono strumenti utili all’autrice per restituire ai versi del Marino una profondità, a suo avviso, finora misconosciuta, una capacità creativa che va al di là dell’invenzione stupefacente per diventare comunicazione di una verità che vuole disorientare per poi orientare a sua volta. La Tristan ricostruisce e propone come messaggio del Marino un sistema di valori la cui struttura sconvolgerebbe quella dell’impianto classico, dell’unità come unicità, della sintesi come mediazione, dell’armonia come assenza di contrasti, e si mantiene in un equilibrio instabile fra due punti fra loro apparentemente contraddittori, ma essenzialmente coincidenti e indispensabili l’uno all’altro.
           A partire dalle suggestioni e dagli strumenti offerti dalla semiologia contemporanea, la Tristan tenta quella che lei chiama una « lettura anamorfica », un itinerario di risalita dal testo immediatamente significante alle sue strutture fondamentali, lasciandosi orientare dalle « maglie rotte » nella rete della letteralità, seguendo le vie di fuga segnalate dalle inflessioni semantiche create dalle metafore. L’autrice si prefigge di determinare attraverso questo tipo di lettura « l’existence éventuelle de noyaux sémantiques et de réseaux axiomatiques » (p. 75) che possano conferire senso alle immagini e alle narrazioni. Quello che deve apparire è la struttura che unisce in modo analogico i movimenti e le operazioni che attraversano l’intero universo descritto dal Marino e lo caratterizzano, in modo diverso, a tutti i livelli : dal mondo archetipo della beatitudine assoluta di Dio che contempla Se stesso, al mondo intelligibile dove abitano gli dèi rappresentati nell’Adone, al mondo sensibile che appartiene ai mortali. 2
           Non si tratta, però, solamente di corrispondenze, per così dire, “verticali” fra i diversi gradi dell’universo, ma anche di analogie fra l’universo, l’uomo e il linguaggio : la Tristan ricorda come, sulla scorta del legame fra macrocosmo e microcosmo, anche il Marino concepisca il corpo dell’uomo come suddiviso in regioni distinte « qui sont respectivement en “sympathie” avec le ciel ou la terre », e richiama a questo proposito il libro VI dell’Adone dove Mercurio guida Adone nel Palazzo d’Amore. 3 Più nel particolare, lo stretto rapporto fra cosmos e anthropos viene riscontrato dall’autrice in relazione al tema dello « specchio delle acque », le « miroir des eaux », di cui fa la chiave interpretativa di molti aspetti del poetare mariniano : come le acque nella grotta fungono da superficie e da specchio di rifrazione della luce, così l’occhio nell’orbita, così l’anima dell’uomo che riflette il cosmo. « On rencontre avec une extraordinaire fréquence, chez Marino […] le motif iconologique du “plan d’eau dans la grotte” ou de ses variantes : parois suintantes ou “cristallines” des cavernes, ou encore sources et fontaines jaillissant au creux des grottes, parfois métaphoriquement comparées à cette “eau ignée” qu’est l’œil dans cet autre lieu clos qu’est l’orbite, tout comme l’orbite, on l’a vu, est elle-même, à l’inverse, comparée à une caverne anatomique » (pp. 424-425) 4.
           Incrociando la prospettiva verticale e quella orizzontale, si chiarisce nel corso dell’opera il parallelismo fra i gradi del cosmo (cielo intelligibile / cielo sensibile / terra) e quelli dell’uomo (spirito / anima / corpo), parallelismo che si completa con le stratificazioni proprie al linguaggio, a proposito delle quali la Tristan ricorda la tradizione esegetica « remise en vigueur » da Dante nel Convito. Con le sue quattro dimensioni “littérale”, “tropologique”, “allégorique” et “analogique”, il linguaggio si struttura secondo le modalità che caratterizzano uomo e mondo, tanto che l’autrice afferma : « Grâce à cette structure spécifique le langage devenait susceptible d’être assimilé à une série de degrés spéculaires qui se succèdent sur un fond textuel par lui-même opaque, et par là même comparable au tain d’un miroir » (p. 434), dove « tain » et « miroir » sono due strutture-chiave del sistema cosmogonico e antropologico che la Tristan afferma di riconoscere nell’opera del Marino, in cui tutte le entità sono stratificate, « indéfiniment emboîtées » (p. 622), e questa statificazione è generata per rifrazione da una serie di atti contemplativi / percettivi.
           La Tristan, dunque, individua nelle forme del mondo archetipo il modello ideale non solo di tutta la cosmologia, ma anche della metafisica, della gnoseologia, dell’etica e dell’estetica del Marino e procede ad una coerente ricerca di queste forme nei suoi versi, seguendo sempre le vie segnalate dalla metafora, intesa, al modo del Tesauro, come « figura che riveste di concetti le parole ». 5 Sulla base di questa definizione, che non è che una fra quelle che il Tesauro propone, la Tristan costruisce la propria interpretazione della poesia mariniana e prende le distanze da quanto – a suo parere – afferma il Pozzi, per sostenere, invece, l’estrema creatività del linguaggio metaforico quale segno che sa generare nuovi significati. L’autrice comincia con l’estendere al Marino un giudizio del Pozzi sul Capaccio e in seguito attribuisce al Pozzi una tesi alla quale contrappone la propria. Il passaggio è ampio, ma vale la pena di leggerlo per intero :

Pozzi poursuit alors, en mettant l’accent sur ce qui constitue effectivement le noeud du problème : « Capaccio confectionne ainsi, à partir du réseau traditionnel des allégories, un catalogue de modèles qui propose non pas des vérités destinées à la publication et revêtues de métaphores, mais des métaphores issues d’un matériel de prédication ; de sorte que le transfert métaphorique, au lieu de prendre forme dans la matrice du dogme, s’organise selon un système de similitudes entre le primum du transfert et le secundum de l’objet de prédication, en fonction de la capacité sémantique d’une notion métaphorique centrale ; le résultat est que le double pédagogique propre à l’allégorie médiévale se trouve inversé » 6. Or comment ne pas être tenté de rapprocher cette déclaration de Pozzi de la définition que, dans son Cannocchiale aristotelico, E. Tesauro, principal théoricien italien de la poésie baroque, proposait de la métaphore pour la distinguer des figures usuelles du discours : « Tandis que les autres (figures) revêtent les “concetti” de paroles, elle, à l’inverse, revêt les paroles elles-mêmes de “concetti” » ? Et comment dès lors ne pas s’apercevoir que Pozzi, dans le jugement qu’il porte sur Capaccio, et par voie de conséquence sur Marino lui-même, et sur tous les utilisateurs de « concetti destinés à la prédication », déclare implicitement ne tenir pour légitime que le premier volet de cette procédure rhétorique, celle où les concetti servant de point de départ à la spéculation (i.e. ce qu’il appelle la « vérité religieuse », ou encore la « matrice du dogme ») sont « revêtus de métaphores » ? Tandis que Tesauro déprécie, comme étant trop ordinaires, ces figures mimétiques du discours qui obstruent le devenir des mots et des images, et tandis qu’il exalte au contraire l’expression figurée parce qu’elle est virtuellement porteuse d’une nouvelle dimension du discours et de la pensée, Pozzi ne voit dans l’usage de la métaphore qu’une déviation du mode traditionnel d’expression de la « vérité », une déviation sans autre avenir que sa propre émergence formelle, quelle que soit par ailleurs la richesse de cette dernière […]. D’après une telle conception […] le langage métaphorique et allégorique aurait surtout eu pour tâche d’exprimer et d’orner un contenu dogmatique ou narratif préexistant (pp. 26-27).


           Per contro, la Tristan sostiene che il linguaggio metaforico debba intendersi come creatore di un significato nuovo, inesistente prima che il segno stesso non gli conferisca vita :

Le signe linguistique, cessant d’avoir pour principale finalité de représenter le signifié qui l’a d’abord sollicité, prétend paradoxalement engendrer un autre signifié jusque-là inexistant, actualisant ainsi au niveau linguistique et conceptuel l’interchangeabilité, chère à l’âge baroque, entre cause et effet, ou entre fiction et réalité (p. 28). 7

E’ per questo che per caratterizzare le opere del Marino l’autrice parla di un érotisme du verbe (p. 134) : nel meccanismo di attrazione e repulsione di parole e concetti, il linguaggio non descrive semplicemente, ma feconda, si rapporta alla propria materia come il cielo alla terra. Viene dunque proposta una corrispondenza fra azione divina e azione poetica che costituisce un tema ricorrente all’interno dell’analisi della Tristan 8 : emanazione e creazione sono i due movimenti fondamentali, lo specchio e il sigillo gli strumenti privilegiati di quel Dio che l’autrice vede rappresentato nella Pittura. Ad essi corrispondono sul piano letterario, da una parte,  l’elocutio intesa come accrescimento e infinita riflessione / rifrazione di significati, dall’altra l’inventio e la dispositio che costituiscono la sostanza e la forma necessarie ad ogni creazione – e quindi ad ogni determinazione di una materia caotica – in ambito cosmologico, antropologico e logico. 9 Nell’universo poetico mariniano nulla sfugge all’impronta delle azioni complementari di specularità e sigillarità, emanazione e creazione, e l’autrice si sofferma ad analizzare i passi, le immagini, le narrazioni che costituiscono, a suo parere, i luoghi privilegiati della manifestazione di questa struttura.
           Per quanto riguarda lo specchio e il sigillo, dai brani della Pittura 10 a cui la Tristan fa riferimento emerge la natura dell’anima umana intesa come specchio in cui Dio si contempla e in cui imprime la sua immagine come un sigillo. L’anima, dunque, riproduce l’ »exacte structure du Monde archétype entouré de sa sphère chaotique « (p. 445).
           Diretta conseguenza della contemplazione allo specchio è il movimento di emanazione, strettamente legato anche all’azione creativa : Dio si specchia nel « miroir de son essence » e genera il Verbo e, a seguire, l’universo intero come « reflets en chaîne ». 11
           Nel corso della sua ricerca la Tristan, oltre ad evidenziare l’analogia che lega ed accomuna i differenti piani dell’essere, dell’agire e del poetare, tende a sottolineare una significativa continuità fra le Dicerie sacre e l’Adone : sembra addirittura di percepire il desiderio di scagionare il Marino dall’accusa di aver con leggerezza mescolato sacro e profano quando l’autrice s’impegna a dimostrare come la scrittura del Cavaliere sia radicata nello spessore di un certo linguaggio metafisico, e come l’intera messa in scena dell’Adone si regga sull’impianto metafisico che emerge dalle Dicerie. Il sacro, dunque, non è introdotto per essere ridicolizzato, ma per dare segnali, per rinviare alla struttura fondante su cui si innestano i giochi del linguaggio : la scittura assumerebbe quindi una profondità che a buon diritto può guadagnare al Marino il titolo di poeta-filosofo.
           Quando definisce il Marino come filosofo, però, la Tristan non è del tutto esplicita e nel corso del libro sembrano emergere alcune contraddizioni a proposito.Se, da una parte, essa sostiene che l’assiomatica mariniana, pur consentendo di attribuire al poeta la capacità di formulare enunciati universali, non è in grado di fondare una filosofia vera e propria, dall’altra avvicina pericolosamente Marino al Campanella nell’impresa comune di rintracciare e difendere i segni degli attributi dell’essenza divina nel cosmo, e sottolinea l’identità di significato per i due autori dei concetti di Potenza, Senno e Amore. Anche se l’autrice chiarisce che le conclusioni dei due filosofi-poeti sono diverse, questa differenza è misurata solamente nel campo dell’engagement politico, mentre resta vago il loro rapporto sul piano della metafisica : il rischio è quello di assimilare uno all’altro i pensieri di due autori contemporanei e appartenenti alla medesima temperie culturale, ma che si muovono all’interno di dimensioni filosofiche e letterarie che certamente non sono identiche. 12
           Il sistema filosofico che la Tristan scorge a fondamento delle opere del Marino e che vuole mettere in luce per legittimare una scittura spesso accusata di sacrificare il vero e il bene alla meraviglia, si struttura, in ogni sua parte, in base alla complementarità di due principi apparentemente contraddittori : specularità e sigillarità nel dominio della metafisica ; bene e male in quello dell’etica ; vero e falso in logica. La metafisica appare così caratterizzata, come già anticipato, dalla dialettica di emanazione e creazione e risente dell’influenza del pensiero neoplatonico che il Rinascimento aveva riscoperto come una forma di interpretazione della realtà : esiste un unico principio - che nell’interpretazione della Tristan è quel Dio cristiano di cui si parla, non senza pericolo di desacralizzarLo, nelle Dicerie sacre - che si dona nella sua sovrabbondante esuberanza e in questo suo uscire da sé ordina il caos della materia, sigillandola nelle forme che possiamo percepire. Tutto sembra frutto di una sfrenata “moltiplicazione d’essere” per riflessione speculare, e tale proliferazione trova         il suo ordine nel gesto / sguardo determinante del Creatore. Le cose dunque portano in sé l’immagine dell’origine ma, a differenza di quanto afferma Plotino, all’origine non ritornano: si trasformano in qualcosa d’altro proprio a causa delle direzioni oblique che prende la luce nel percorso delle successive rifrazioni. Anche l’etica sembra oscillare fra due movimenti opposti e ammette la possibilità di un rapporto fra bene e male che non assume mai una forma decisiva : entrambi sono relativi e finalizzati ad un medesimo scopo, anche perché l’atto emanativo da cui derivano li accomuna nell’identità dell’origine. E nemmeno la verità è definita distintamente, dal momento che all’uomo è dato di conoscere solamente per via indiretta e sguardo obliquo. In questo caso, per salvare Marino da un’ulteriore classica accusa, l’autrice, rifacendosi a Deleuze, difende una « verità della relatività » 13 per contro alla « relatività della verità ». Il medesimo codice di funzionamento si riscontra anche a livello estetico per quanto riguarda l’azione del poeta e la concezione dell’arte : come quello fra cielo e terra, il rapporto fra arte e natura è un rapporto di fecondazione, tanto che il poeta può disporre di un linguaggio e di una tecnica in grado di creare all’infinito nuove direzioni di senso « puisque le signe linguistique, cessant d’avoir pour principale finalité de représenter le signifié qui l’a d’abord sollicité, prétend paradoxalement engendrer un autre signifié jusque-là inexistant »(p. 28). Si tratta di un linguaggio costruito prevalentemente in base a strutture nominali, ricco di aggettivi, che si disfa e si rifà continuamente, le cui parole sono sottratte alla loro prima natura semiologica per essere collocate in prospettiva : « Échappant à l’état substantif […] il est pure verbalité, pure « qualité » rhétorique. Il tend à se confondre avec une manière de non dit, ou plutôt avec un message en clair-obscur oscillant entre le dit et le non dit » (p. 43). La Tristan, per fornire un’immagine che esemplifichi questa idea del linguaggio e della scrittura in particolare, rimanda ad Adone, XIV, 61-65 e 141-142, ottave che a suo dire costituirebbero una lunga metafora sia dell’attività del poeta, sia della natura del testo (quasi una tela di ragno tessuta ad arte per sviare il pericolo che deriva da un interprete inesperto). 14
           Afferma l’autrice : « Le texte baroque, dont la nature est mercurienne et arachnéenne, et par là même insaisissable, est pareillement un seuil linguistique entre un en deçà constitué par les éléments narratifs, thématiques, iconologiques ou sémiologiques […] et un au-delà qui, dans le langage en clair-obscur dont il s’agit, est de prime abord occulté » (p. 32).
           La metafora - intesa come metamorfosi del linguaggio – che segue i due movimenti cosmici di emanazione e di sigillarità, viene interpretata dalla Tristan non solo come lo strumento retorico che per eccellenza dice la realtà, ma anche come simbolo della metafisica del divenire, come legge cosmologica proprio in quanto logica e antropologica. In questo contesto Marino è definito filosofo nella misura in cui la retorica è filosofia. 15 Ancora una volta un rimandare, un rilanciare la questione senza mai fondarla. Non si trova, nel testo della Tristan, il chiarimento del rapporto fra retorica e filosofia, né una precisa definizione di esse. Forse dovremmo cercarne le tracce disseminate, ma questo non risolve il dubbio sull’esito felice della sua impresa.
           Docta ignorantia, coincidentia oppositorum, negazione della negazione : concetti squisitamente barocchi che definiscono la natura di un mondo che ha perduto il suo centro e costituisconola forma retorica privilegiata dei versi del Marino. Il « punto di vista » è chiamato a sostituire questo centro venuto meno, e le orbite ellittiche di Keplero 16 sono interpretate come simbolo dell’universo barocco nel quale, in nome del prospettivismo, anche i valori negativi vengono inglobati perché assunti come relativi. In quest’ottica la Tristan legittima anche la frammentazione narrativa tipica del Marino e la sua perfetta architettura retta dai molteplici punti di vista da cui la realtà è inquadrata. Essi hanno la precipua funzione di suscitare la presenza stessa dei personaggi, tanto che l’autrice può affermare che i veri protagonisti dell’Adone sono le condizioni percettive particolari di ciascuno di essi nella loro totalità (pp. 621-622).
           In questa onnicomprensiva corrispondenza fra essere e linguaggio tutto trova il suo senso, ma forse in modo un po’ artificioso : se è possibile leggere Marino alla luce della semiologia contemporanea e cercare di restituire alle sue pagine una ricchezza dimenticata dalla critica “tradizionale”, è difficile farlo presentando i testi tradotti in lingua francese. Dal punto di vista del contenuto la Tristan centra pienamente le numerose ottave che riprende, ma ne modifica la natura significante attraverso la traduzione : in questo modo non si dà forse vita ad una rete di significati diversa rispetto a quella tessuta dal testo originale ? Inoltre l’attribuire al Marino la statura del filosofo, anche se sui generis, anche se solo nella misura in cui la retorica è filosofia, può risultare pericoloso : definire le due discipline una sulla base dell’altra è un’operazione che innesca un circolo vizioso nel quale è impossibile rintracciare il fondamento.

 

1-  Marie-France Tristan, La scène de l’écriture  p. 144.

2- Ad esempio, a proposito del ternario potenza, saggezza e amore, che sta considerando nell’ambito del Mondo archetipo, la Tristan afferma « si le ternaire puissance / sagesse / amour caractérise initialement le seul Monde archétype, il se trouve néanmoins indéfiniment reflété, comme le seront également les autres ternaires de l’axiomatique marinienne, dans les mondes surintelligibles, intelligibles et sensibles ; il n’est pas jusqu’aux contrefaçons infernales de ces mondes créés et incréés qui n’en soient marquées comme par une empreinte indélébile » (p. 261, corsivo mio).

3-  Cfr. Adone, VI, 8, 12, 13.

4- Cfr. Adone , V, 86 e VI, 34 (3-4).

5-  Cfr. Emanuele Tesauro, Il Cannocchiale aristotelico, Torino, Zavatta, ed. 1670, p. 266.

6- Giovanni Pozzi, Introduzione alle Dicerie sacre, Torino, Einaudi, 1960, p. 34.

7- Mi sembra di poter notare, però, che il Pozzi, nel passo citato, non si stia tanto preoccupando della definizione della metafora, quanto di segnalare che il Capaccio - chiamato in causa come una delle fonti tematiche del Marino – quando utilizza le allegorie non lo fa a scopo di edificazione morale, ma per introdurre nozioni dalle quali ricavare « un centro tematico per l’adunata generale di quante particolarità gli sono proporzionabili » e, nel corso di questa operazione, si allontana da quello che era stato il prestesto sacro di partenza.

8-  Il poeta come alter deus, in quanto creatore di mondi è già un topos rinascimentale. Cfr. ad esempio Torquato Tasso : « Sì come in questo mirabile magistero di Dio, che mondo si chiama […] così parimente giudico che da eccellente poeta (il quale non per altro divino è detto se non perché, al Supremo Artefice nelle sue operazioni assomigliandosi, della sua divinità viene a partecipare), un poema formar si possa nel quale, quasi un picciolo mondo … » (Discorsi dell’arte poetica, a cura di Luigi Poma, Bari, Laterza, 1964, pp. 35-36).

9- Se inventio e dispositio sono legate allo schema della sigillarità, l’elocutio si fonda sul « moyen opératoire » della specularità « directement déterminé d’une manière ou d’une autre par l’intervention d’un miroir émetteur / récepteur, que celui-ci soit conçu dans sa réalité concrète, symbolique, psychique ou métaphysique » (pp. 225-226). Come esempio della presenza del ternario retorico anche nella struttura del cosmo la Tristan propone l’apologia che la Tristan fa di sé nel IV libro dell’Adone (oct. 16) : « Car tu as devant toi qui bâtit l’Univers / hors des confus Abîmes et le Ciel  assembla; / qui a fait que s’ouvrit, disposée en bel ordre, / l’antique Pépinière d’où est née toute chose ; / celle aussi qui allume astres errants ou fixes, / et en fait s’échapper des flammes amoureuses ; / de ce qui vint au monde et avant n’était pas / la mère originelle, la seule vraie nourrice ». La  Tristan cita sempre in francese ; per comodità del lettore riporto anche l’originale e segnalo che da questo punto in avanti citerò sempre in italiano : « Or ecco là chi da’ confusi Abissi / l’universo costrusse e ‘l ciel compose, / per cui distinto in bella serie aprissi / l’antico Seminario delle cose ; / colei ch’accende i lumi erranti e i fissi / e ne fa sfavillar fiamme amorose ; / di quanto è nato, e quanto pria non era / la madre prima e la nutrice vera ». In questo passaggio l’autrice riconosce la dispositio come composizione nei versi 1-4, l’elocutio come emanazione luminosa nei versi 5 e 6 e l’inventio nella filiazione nei versi 7 e 8.

10-  Cfr. Tristan, La scène de l’écriture, cit., p. 447 e sgg. E, ad esempio, Dicerie sacre, Pittura I, p. 101 (11), p. 111 (5-8), p. 121 (5-11), p. 122 (9-13) e Adone, XI, 33 (1-6).

11-  Cfr. Tristan, La scène de l’écriture, cit., p. 482 e Pittura, 135 (23), 136 (2).

12-  Cfr. Tristan, La scène de l’écriture, cit., p. 78 : « L’axiomatique marinienne, même si elle a valeur de langue universelle à l’intérieur du système d’écriture qu’elle régit, n’a pas en fait d’existence autonome et absolue en dehors de ce système, ce qui limite assurément la portée métaphysique qu’elle semble par ailleurs revendiquer. On ne saurait donc la considérer à proprement parler comme fondatrice d’un véritable système philosophique ». Ma a p. 230, riprendendo un giudizio di Franc Ducros (Tommaso Campanella poète, Paris, PUF, 1961, p. 291) l’autrice afferma : « “Pour une large part la poésie de Campanella est une quête de ce triple signe et de ses multiples manifestations et significations mais aussi une croisade pour son triomphe et un combat pour la défaite de ce qui le nie”. Nous espérons que les pages qui vont suivre apporteront la preuve qu’une telle définition conviendrait tout aussi bien aux positions de Marino et à sa conception personnelle du ternaire des attributs “essentiels” » (corsivo mio). E, infine, alle pp. 163-164 : « Parce que Marino […] est un « poète philosophe », et peut-être plus encore un « philosophe de la nature », pour qui les abstractions métaphysiques sont toujours incarnées dans un processus d’actualisation dynamique, et revêtent toujours une forme d’efficience concrète ». 

13- Marino non è alla ricerca di una « ben rotonda verità » sul modello di Parmenide, ma difende il valore della prospetticità, il fatto che sia vero ciò che viene percepito / conosciuto dal singolo. La Tristan segnala a questo proposito le corrispondenze con il pensiero - di poco posteriore al Marino - del Leibniz, che indica nella monade l’unità semplice e particolare che, pur nella sua particolarità, riflette le caratteristiche dell’universo intero e lo conosce a partire da se stessa, senza dover ricevere nulla dall’esterno. Eppure, non esistono tanti universi quante sono le monadi, ma un unico universo sul quale ogni monade è una prospettiva : « il arrive de même que par la multitude infinie des substances simples, il y a comme autant de différents univers qui ne sont pourtant que les perspectives d’un seul selon les différents points de vue de chaque monade ».

14- Riporto, per comodità del lettore, il passo in questione ; l’immagine è quella della caverna in cui Adone è rinchiuso da Malagorre e la cui descrizione da parte del poeta rappresenterebbe una sintesi del suo fare artistico: « In una occulta grotta indi il conduce / che le viscere fora alla montagna, / dentro i cui penetrali ermi e riposti / i bottini più ricchi ei tien nascosti //. Opra non di Natura è questa grotta / […] ma la man de’ ladroni esperta e dotta / pur come natural cavolla ad arte. / E’ stretta, obliqua e diroccata e rotta / e nel mezzo in due parti si diparte. / Scende la prima entrata oscura e bassa / fin dove all’antro interior si passa. // […] / Da indi in là per strade anguste e torte / quasi meandro si ravolge ed erra, / e poiché molti giri intrica e mesce / nela costa del poggio alfin riesce. // […] colà dove la pietra alquanto aperta, / ma riturata d’arbori selvaggi, / riceve pur dal ciel di luce incerta / per un breve spiraglio ombrosi raggi ». « Aracne appella, / ch’ordisce in un momento estrania tela / e con meravigliosa arte novella / s’attraversa per mezzo e’l varco vela / e’l vel sì dense ha le sue fila industri / che par tessuto giç di molti lustri » (Adone, XIV, 61-65 ; 141-142 passim, corsivi miei).

15- La tesi viene esplicitamente ripresa (p. 79) da un giudizio di Ernesto Grassi riportato dal Guardiani in conclusione a La meravigliosa retorica dell’Adone di G.B. Marino, Firenze, Olschki, 1989, p. 158 : « Si tratta di una poetica che, in ultima analisi, si identifica con la retorica. E se, come ha insegnato Ernesto Grassi, “retorica è filosofia”, non resta che accostare i termini estremi della doppia equazione, e cioè finalmente riconoscere che la poetica mariniana è filosofia ».

16- Anche in questo caso l’Autrice si rifà alle intuizioni del Pozzi, che riconosce nell’ellissi la figura che meglio rappresenta la struttura dell’Adone (ma anche della forma mentis barocca, la forma di percezione del reale a cui l’arte barocca conduce) : « L’Adone è una figura bifocale [...] Se la circonferenza rappresenta la vicenda, il centro o fuoco rappresenta la posizione da cui l’osservatore la contempla. Nella figura circolare il mondo si osserva da fermo […] ; nell’ellittica oscillando da un fuoco all’altro […]. Imponendogli di vivere in una così fatta figura, il poeta costringe il lettore a spostarsi da un fuoco all’altro […] mostrandogli di volta in volta le stesse cose da una lontananza diversa » […] » (Pozzi, Guida alla lettura di Adone, Milano, Adelphi, 1988, p. 80).